Equitazione terapeutica: benefici fisici e psicologici

L’equitazione terapeutica, conosciuta anche come ippoterapia, è un approccio terapeutico che sfrutta l’interazione unica tra uomo e cavallo per promuovere il benessere fisico e psicologico. Questa pratica, antica e moderna al tempo stesso, offre benefici tangibili a persone di tutte le età, con un focus particolare su bambini e individui con disabilità, disturbi neurologici e psichiatrici. Un viaggio alla scoperta di come il movimento del cavallo e la relazione con questo animale straordinario possano diventare strumenti di cura e crescita personale.

Il movimento che guarisce: i benefici fisici dell’ippoterapia

Il cavallo, con il suo passo ritmico e tridimensionale, offre uno stimolo neuromotorio unico. Questo movimento, simile al cammino umano, sollecita il corpo del cavaliere in modo simmetrico e variabile, generando una serie di benefici fisici. Come evidenziato in uno studio pubblicato su PubMed (Therapeutic Effects of Horseback Riding Interventions: A Systematic Review and Meta-analysis), l’ippoterapia migliora significativamente l’equilibrio e la funzione motoria globale, parametri fondamentali per la qualità della vita.

Dalla propriocezione alla coordinazione: un allenamento completo

L’equitazione terapeutica affina la propriocezione, ovvero la capacità di percepire il proprio corpo nello spazio, e stimola il sistema vestibolare, responsabile dell’equilibrio. Il cavaliere, per mantenere una postura corretta, attiva costantemente i muscoli del tronco, rinforzando la muscolatura centrale e favorendo l’allineamento posturale. L’andatura del cavallo, inoltre, evoca i movimenti fisiologici del cammino umano, contribuendo a ristabilire le simmetrie motorie alterate da paralisi o disturbi neurologici, come riportato da dica33.it (Bambini e cavalli: i benefici dell’ippoterapia).

Oltre il corpo: la dimensione psicologica dell’equitazione terapeutica

L’interazione con il cavallo non è solo un’esperienza fisica, ma anche un profondo viaggio emotivo. Il cavallo, animale sensibile e empatico, entra in risonanza con il cavaliere, creando un legame che favorisce il benessere psicologico. La gestione del cavallo, anche con l’assistenza di personale qualificato, promuove l’autonomia, l’autostima e la capacità di elaborare le emozioni. La relazione con l’animale stimola l’empatia e la capacità di comprendere i bisogni altrui, come sottolineato da paginemediche.it (Ippoterapia e riabilitazione equestre).

Un ponte verso la socializzazione e l’autostima

L’ambiente dell’equitazione terapeutica offre opportunità di socializzazione e interazione, sia con gli operatori che con altri cavalieri. Superare le sfide legate all’equitazione, come imparare a controllare il cavallo, aumenta la fiducia in sé stessi. Per soggetti con difficoltà psichiche, l’ippoterapia può rappresentare un valido strumento per ridurre l’isolamento e l’aggressività, facilitando l’apertura verso l’esterno e la creazione di legami, come evidenziato nel progetto “Riding the Blue”, menzionato da ANMVIOggi (Autismo, Ippoterapia verso riconoscimento Ssn).

Un approccio multidisciplinare: le fasi e le figure professionali

La riabilitazione equestre, come descritto da psicologidellosport.it (Ippoterapia e Autismo: ritrovare un equilibrio fisico e mentale attraverso il cavallo), si articola in diverse fasi, dall’ippoterapia vera e propria, focalizzata sull’interazione passiva con il cavallo, alla rieducazione equestre, che coinvolge l’apprendimento delle basi dell’equitazione, fino all’equitazione presportiva. Questo percorso richiede un approccio multidisciplinare, con il coinvolgimento di fisioterapisti, psicomotricisti, psicologi e medici, ognuno con competenze specifiche nell’uso terapeutico del cavallo. L’ippoterapia-K®, come spiegato da hippotherapie-k.org (L’ippoterapia-K® Descrizione), è una forma riconosciuta di fisioterapia che sfrutta il movimento del cavallo, con un terapista che facilita la trasmissione del movimento equino al paziente.

Applicazioni specifiche e casi di successo

L’ippoterapia trova applicazione in una vasta gamma di condizioni, tra cui disturbi dello spettro autistico, paralisi cerebrale infantile, sclerosi multipla, disturbi dell’equilibrio e disturbi emotivo-relazionali. Numerose esperienze, come quelle riportate da BENU Farma (I benefici dell’ippoterapia per i bambini), testimoniano l’efficacia dell’ippoterapia nel migliorare la comunicazione e il benessere di bambini con autismo, o nel consentire a persone con epilessia farmacoresistente di vivere l’esperienza dell’equitazione in sicurezza.

Oltre la terapia: un futuro di integrazione e benessere

L’equitazione terapeutica non è solo una terapia, ma un’opportunità di crescita personale e di miglioramento della qualità della vita. Come evidenziato da Cesvot (Ippoterapia e disabilità: la riabilitazione a cavallo) e Fondazione San Giuseppe Rimini (Ippoterapia e Qualità della Vita), l’ippoterapia promuove l’inclusione sociale, stimola la socializzazione e offre un contesto in cui sviluppare competenze e autonomie. L’obiettivo, come emerge anche dall’articolo di Firenze Today (Centri equestri e ippoterapia: a rischio chiusura le attività con i cavalli per i ragazzi disabili), è quello di un sempre maggiore riconoscimento scientifico e istituzionale dell’ippoterapia, affinché questa pratica possa essere integrata nei protocolli riabilitativi, diventando un’opzione accessibile e riconosciuta per favorire il benessere di persone con diverse necessità. L’ippoterapia, in definitiva, è un viaggio di scoperta, un percorso di cura e un’esperienza di vita che unisce il potere terapeutico del cavallo alla forza interiore di ogni individuo.

Chirurgia plastica ed equitazione: quando riprendere a cavalcare?

Un argomento poco discusso quando si parla di attività sportiva è quale sia la durata della convalescenza da osservare per sportivi e sportive che hanno interrotto la pratica per motivi di salute.

Siamo infatti abituati a vedere atleti professionisti infortunarsi e sparire dalle scene anche per mesi, ma spesso queste pause forzate hanno durate assai più ridotte. Succede nei casi di interventi cosiddetti di chirurgia elettiva, come sono quelli legati al miglioramento dell’aspetto fisico.

I tempi di recupero da un intervento di chirurgia plastica variano da persona a persona e dipendono moltissimo dall’invasività dell’operazione alla quale ci si è sottoposti. In genere si parla di qualche settimana, ma ci sono delle cautele in più da osservare se la parte operata è quella che si usa di più nel proprio sport del cuore. Un esempio pratico? Le protesi sedere e l’equitazione.

Come riprendere a praticare l’equitazione

Chi cavalca sa quanto possa essere insopportabile il pensiero di allontanarsi dall’animale col quale ci si esercita… Del resto, si sa che fra cavallo e cavaliere si crea un rapporto profondo!

Un intervento di chirurgia non implica un’assenza lunga, tolti i tempi tecnici del ricovero: per questo, il primo passaggio per tornare a praticare è sicuramente quello di rientrare, non appena possibile, a frequentare il vostro circolo e visitare il cavallo che di solito vi accompagna. Consideriamolo come un riavvicinamento di tipo psicologico, dove il benessere dato dalla vicinanza dell’animale farà bene anche al vostro corpo e accelererà la guarigione: la pet therapy, del resto, è una realtà!

Il motto dei primi giorni fuori dall’ospedale è “non strapazzarsi”: davanti a un intervento di chirurgia estetica, bisogna dosare le energie, specie se ad essere coinvolte sono protesi al sedere. I gesti e i passi che facciamo devono essere lenti e rilassati, se possibile non bisogna salire o scendere scale o fare altri tipi di sforzi che interessino la parte operata. Non serve che sottolineiamo che la parte operata sarà dolente – ci penserà “lei” a ricordarlo.

Il medico che vi ha seguito fin qui saprà indicare le modalità per un graduale ritorno all’esercizio, con attività dolci come lo yoga o la ginnastica in acqua. Superati questi “scogli”, si potrà aumentare l’intensità provando con la bici, anche quella statica, la corsa o l’ellittica (per chi frequenta una palestra). Solo allora, e soprattutto solo quando le protesi al sedere non daranno più una sensazione fastidiosa, si potrà finalmente tornare a cavalcare.

Origini e storia dei purosangue americani

Gli emigrati europei portarono con sé molte razze diverse di equini nel viaggio verso il Nord America. Proprio dagli incroci di queste specie iniziò la selezione che diede vita, soprattutto grazie all’impegno degli allevatori negli stati orientali, all’Horse American Made, ovvero il cavallo creato in America.

Alla base dell’American Saddlebred, come è anche conosciuto, stanno soprattutto i Galloway, cavalli di provenienza scozzese, e gli Hobby, di origine irlandese, ma ricostruendo il suo DNA si trovano tracce di molte altre specie come i Narragansett, i Canadian Pacer, i Morgan e infine i Tennessee Walking.

Un cavallo fondamentale per l’economia

L’American Saddlebred giocò un ruolo fondamentale nella guerra di secessione americana, conflitto durante il quale la sua forza, resistenza e tenacia hanno aiutato i cittadini a ribaltare le sorti di numerose battaglie contro la corona britannica. Questo equino ha muscoli possenti ma si presenta comunque con un aspetto slanciato e armonioso che lo ha reso popolare anche negli spettacoli circensi dove può mettere in mostra tutta la sua agilità e capacità di imparare decine di comandi ed esercizi diversi.

Vista la sua importanza nella cultura ed economia americana, a Louisville in Kentucky nel 1891 nacque la American Saddle Horse Breeders Association la quale come prima cosa diede vita al libro della genealogia ufficiale dei Saddlebred con il quale verificare la discendenza di ogni cavallo americano.

L’American Saddlebred oggi viene utilizzato soprattutto per le gare ippiche quali trail, riding, dressage, combined driving ed eventing. Inoltre, è un ottimo animale per le scuole di equitazione poiché molto docile anche con gli sconosciuti, intelligente e delicato. I Saddlebred sono stati esportati in molte regioni del mondo, soprattutto in Australia, Sudafrica ed Europa.

Il purosangue arabo, dalle origini ai giorni nostri

Il purosangue arabo è una delle razze equine più antiche del pianeta e il suo allevamento iniziò millenni addietro.

Alcuni reperti storici parlano della selezione dei cavalli arabi fin dal 3.000 avanti Cristo, epoca durante la quale le tribù beduine tramandavano solamente a voce la genealogia dei loro animali.

Il territorio in cui vivevano i purosangue arabi era desertico, arido e difficile da attraversare, un luogo in cui solo gli animali più forti e resistenti riuscivano a sopravvivere. La selezione dei geni fu quindi naturale e gli allevatori ebbero vita facile poiché in partenza già vantavano cavalli dalle caratteristiche eccezionali fin dai primi esemplari.

I cavalli erano utilizzati dai beduini sia per muoversi attraverso il deserto che per lanciarsi in battaglia. In questi scenari, cavalli robusti e affidabili facevano la differenza tra vittoria e sconfitta. Da notare che in combattimento venivano portati solo gli esemplari femmina poiché più fedeli al fantino e non competitivi con gli altri cavalli presenti nell’esercito.

Lo stallone era, anche all’epoca, trattato come l’animale più prezioso ma anche le fattrici avevano un valore esorbitante e i beduini le tenevano sempre vicine facendole dormire nelle loro tende e nutrendole con diete speciali a base di datteri e latte di cammello.

I cavalli nella storia dell’Islam

Quando Maometto conquistò buona parte della regione araba, la connessione tra le popolazioni del luogo e i cavalli arabi divenne ancora più importante visto che il profeta era amante di questi animali e ne rispettava l’importanza economica e militare.

Nelle leggende islamiche, il vento fu trasformato da Allah in un cavallo, primo della sua specie e fornito di caratteristiche speciali: il dio disse che la virtù del purosangue arabo stava nella sua chioma, fonte di forza e velocità che gli avrebbe consentito di “volare” anche senza essere dotato di un paio di ali.

Il nome arabo per i purosangue è Asil mentre i cavalli con linea impura sono chiamati Kadish.

Per verificare che la linea di discendenza rimanesse pura, i cavalli Asil venivano fatti accoppiare nel deserto e osservati da numerosi testimoni che potevano poi tramandare oralmente la storia dell’albero genealogico di questi animali.

Bastava un solo accoppiamento con un cavallo Kadish e una fattrice Asil sarebbe stata dichiarata impura per il resto della vita.

Le caratteristiche dei purosangue inglesi

I cavalli purosangue sono selezionati da secoli per la loro forza, velocità e tenacia. Nonostante li si veda quasi solamente durante le corse equestri o in spettacolari scene d’azione nei film, questi cavalli vengono utilizzati anche per molti altri scopi e sono adatti a lavori di ogni genere.

In questo articolo ci occuperemo delle caratteristiche del purosangue inglese, razza che necessita di grandi attenzioni e cura, adatta a ogni disciplina competitiva ma anche alle passeggiate nella natura a velocità ridotta.

L’aspetto del purosangue inglese

L’aspetto del purosangue inglese è variegato ma presenta alcune caratteristiche comuni legate soprattutto alla muscolatura e alle proporzioni dell’animale. Il suo petto tende a essere molto profondo e in contrasto col resto del corpo, molto magro e slanciato con muscoli piatti e ben definiti. Ha zoccoli di piccole dimensioni e una pelle sensibile, più sottile rispetto alle altre razze.

Le sue origini

Le origini, per lo meno per quanto riguarda l’allevamento moderno, risalgono al 1793 quando fu creato lo Stud Book in Inghilterra, libro che catalogava l’albero genealogico dei cavalli del paese e ne garantiva il pedigree.

Da subito l’intento è stato quello di dar vita a cavalli perfetti, veloci e robusti per competizioni ippiche. Le caratteristiche alle quali si è prestata maggiore attenzione durante la selezione dei geni sono state potenza e velocità. Per questo motivo, a oggi il purosangue inglese non presenta caratteristiche morfologiche omogenee.

Le caratteristiche che li distinguono dagli altri cavalli

Questi cavalli non sono adatti ai principianti, soprattutto se appena ritiratisi dalle competizioni di velocità, poiché hanno passato gran parte della loro vita rinchiusi in un box venendo sottoposti a diete speciali oltre che spesso anche a farmaci atti ad aumentarne le prestazioni sul circuito.

I purosangue inglesi sono abituati a una vita solitaria e tendono a portare rancore verso gli altri cavalli per via delle gare che li vedono sempre scontrarsi per il podio. Purtroppo in molti casi perdono la fiducia nell’uomo e diventano pericolosi, nervosi e irritabili.

Per chi volesse cavalcare uno di questi maestosi equini è bene ricordare che necessitano di un prolungato periodo di pausa e recupero dalle competizioni che serve loro per imparare nuovamente cosa significa vivere una vita da cavallo “normale”, passeggiando tra i boschi e correndo per i prati in libertà.

Il modo migliore per facilitare la riabilitazione di un purosangue inglese è quello di creare una stalla dalla quale il cavallo possa uscire liberamente per sgranchirsi le zampe e correre, possibilmente all’interno di un prato recintato confinante con gli habitat di altri equini.

Inoltre, per rendere le prime interazioni più facili è bene lasciarsi aiutare facendo muovere il purosangue alla corda e ricordare di avere pazienza poiché il percorso può essere lungo e complicato.